Regno delle Due Sicilie, primi in Europa, a varare la legislazione di salvaguardia sui beni cultural
- militesluci
- 19 feb 2015
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Regno delle Due Sicilie, primi in Europa, a varare la legislazione di salvaguardia sui beni culturali
Partendo dall’analisi del progetto di legge del 16 settembre 1854 presentato dalla Consulta de’ Reali Domini di qua del Faro, si è proceduto alla ricostruzione storica e storico–legislativa della tutela e conservazione dei beni culturali nel Regno delle Due Sicilie. Sin dalle settecentesche scoperte di Ercolano e Pompei, i beni storico-artistici, soprattutto quelli archeologici, furono protetti attraverso bandi e decreti reali, che contempleranno, col passare del tempo, una fattispecie sempre più ampia di oggetti d’arte e di monumenti da tutelare.
Carlo di Borbone, promotore degli scavi di Ercolano e Pompei, profondamente turbato dalla superficialità nella conservazione dei ritrovamenti, decise di interessarsi alla questione e di intervenire nella salvaguardia del patrimonio artistico emanando, nel 1755, il provvedimento che sancì il divieto di esportazione per gli oggetti d’arte ritenuti artisticamente importanti “per eccellenza di lavoro, artificio, o altre rarità”. Esso stabilì, inoltre, che per ogni oggetto estratto si sarebbe dovuto pagare un diritto di tratta, stabilito sulla base del valore assegnato ai singoli oggetti dagli esperti nominati dal Tribunale della Camera.
I dettami di tale provvedimento furono confermati ed ampliati nel provvedimento del 13 maggio 1822, emanato da Ferdinando I di Borbone. Il primo articolo dell’editto vietava di togliere dai loro siti “tutti gli oggetti e i monumenti storici e di arte che esistono”, Il secondo proibiva la demolizione, anche in fondi privati, di “antiche costruzioni”; il terzo, infine, sanciva il divieto di esportazione di oggetti antichi e di arte, anche di proprietà privata, senza una preventiva autorizzazione.
Il suddetto decreto prevedeva, inoltre, l’istituzione di una Commissione d’Antichità e Belle Arti, incaricata della vigilanza sul patrimonio artistico e del rilascio delle autorizzazioni per le esportazioni. Il giorno successivo all’emanazione del decreto, il 14 maggio 1822, furono stabilite le norme per la disciplina degli scavi archeologici e la conservazione dei reperti rinvenuti.
Esso imponeva di denunziare, entro tre giorni, il rinvenimento di reperti archeologici al sindaco del luogo, che immediatamente avrebbe messo in moto il complesso iter burocratico, inviando una relazione all’intendente della provincia, che, a sua volta, avrebbe trasmesso rapporto alla Commissione di Antichità e Belle Arti per l’esame dei reperti. In caso di scavi clandestini, di mancata denunzia dei reperti, di restauri arbitrari o di alienazioni abusive, lo scopritore era punito con la perdita degli oggetti ritrovati e con una sanzione pecuniaria da stabilirsi a seconda dei casi.
Relativamente agli scavi di Pompei, nel 1822 il governo borbonico deliberò di spendere ben 3000 ducati all’anno per i restauri, e fu costituita una speciale commissione per vigilare ed organizzare le metodologie da impiegare, speciali agenti di Polizia erano utilizzati per investigare e vigilare su tutte le operazioni di scavo archeologico.
Questa situazione, delicata e complessa, durò fino al 16 settembre 1839, quando Ferdinando II emanò un nuovo decreto che sostanzialmente riconfermò quanto disposto nel decreto del 13 maggio 1822 di Ferdinando I. Esso affidava la sorveglianza dei monumenti alle autorità amministrative, coadiuvate dall’Accademia di Belle Arti e controllate dal Segretario di Stato per gli Affari interni; “che avevano il compito di vigilare al fine di evitare di deturpare l’antico con lavori moderni e di impedire interventi di restauro senza preventiva autorizzazione degli organi competenti.” Durante il governo di Francesco I non mancarono, grazie anche all’interessamento del sovrano, iniziative concrete per la realizzazione di progetti di legge in merito alla tutela del patrimonio artistico ed archeologico. Egli promosse la redazione di un progetto di legge organica sugli scavi vesuviani e sulla tutela dei beni del Regno, che avrebbe dovuto precisare, compendiare, completare e migliorare la precedente legislazione borbonica.
I Borbone osarono, primi in Europa, varare la legislazione di salvaguardia sui beni culturali stabilendo che ovunque rinvenuti appartengono allo Stato (che solo a fini di custodia puo' affidarli a privati finanziatori) e soprattutto, per fronteggiare la rapacita' inglese che rapinava in quel periodo grandi pezzi di antichita' dal Partenone di Atene, dalle Piramidi in Egitto, dagli scavi in Mesopotamia ed in Persia, stabilirono il divieto assoluto di loro trasferimento fuori dal Regno. i Borbone ebbero il coraggio di ostacolare gli inglesi che trasferivano i beni culturali di diverse terre del mondo nel British Museum, pero' l'averli sfidati contribui' (certo non solo per questa ragione) a far perdere loro il Regno. Contrastare gli inglesi, allora, equivaleva a contrastare oggi gli americani, che i Borbone non furono retrogradi o ottusi come i libri di Storia ce li descrivono basta penare che lo Stato unitario italiano ha varato la prima legge di salvaguardia dei beni culturali (con le medesime misure ) solamente nel 1939, ossia un secolo dopo il varo della legislazione borbonica.
Il complesso di leggi, bandi e decreti emanati dal periodo dell’ascesa di Carlo, primo re Borbone, fino a quello dell’annessione del Regno D’Italia, ripercorre le tappe più importanti e i momenti di svolta nella tutela del patrimonio artistico: dall’istituzione del Real Museo alla predisposizione di Organismi competenti, passando per la nascita della figura dell’Ispettore ed il controllo degli interventi privati fino ad arrivare all’interessantissimo documento “Appuntazioni per l’Abbellimento di Napoli” nel quale il sovrano in persona affronta i problemi architettonici ed urbanistici della città.
Con il nascente Regno d’Italia invece si ebbe una regressione nel campo della salvaguardia dei beni, e la mancanza di un piano di regolamentazione degli scavi archeologici attraverso un intervento pubblico potrebbe essere la causa dei problemi odierni.
Ciò che si è manifestato con evidenza è stata l’importanza attribuita nella Napoli capitale alla protezione del patrimonio artistico e culturale, e la modernità, per quei tempi, dei principii che sottintendevano l’attività legislativa di tutela, soprattutto nel confronto con la successiva legislazione del Regno d’Italia, è importante ricordare l’importanza della politica culturale nel Regno delle Due Sicilie e sottolineare quanto il patrimonio artistico napoletano sia stato considerato e tutelato dalla legge durante tutto il regno borbonico.
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