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Il sistema monetario del Regno delle Due Sicilie.

  • militesluci
  • 18 mar 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

Nel Regno delle Due Sicilie non circolavano banconote, cioè quella carta-moneta stampata ed emessa da una Banca Centrale privata, bensì solo monete metalliche aventi un proprio valore intrinseco, il cui conio e la cui emissione venivano curate esclusivamente dalla Reale Zecca dello Stato borbonico.

All’avvento di Carlo di Borbone al Trono di Napoli, nel 1734, l’unità monetaria di base era il ducato, una massa di argento del peso di gr. 22 circa e contenente 9/10 di fino e 1/10 di lega (rame).

Il ducato si divideva in 10 carlini, ognuno dei quali composto da 10 grani, ognuno dei quali da 12 cavalli.

Il ducato esisteva anche come moneta d’oro, anche se non veniva più coniato dal 1649, per quanto riguarda la coniazione di piccole monete auree, vi erano multipli del ducato d’oro, cioè il 2, il 4, ed il 6 ducati, al titolo di 21¾, cioè con circa 906 millesimi di fino. Il 6 ducati fu chiamato anche oncia napoletana, per distinguerlo dalle once di Sicilia, in quanto queste avevano metà del peso, e quindi del valore, di quelle napoletane.

Per la monetazione argentea, vi erano la coniazioni di grandi pezzi in argento: le piastre (gr. 25, 61) del valore di 12 carlini, o 120 grani, e mezze piastre da 60 grani, occorre inoltre ricordare i carlini ed i mezzi carlini del valore di 5 grani, per quanto concerne infine la monetazione di rame, si coniarono la “pubblica”, o 3 tornesi, il grano o 12 cavalli, il 9 cavalli, il tornese o 6 cavalli, il 4 cavalli ed il 3 cavalli.

A seguito della unificazione dei Regni di Napoli e di Sicilia nel Regno delle Due Sicilie, Ferdinando I di Borbone, con la legge del 20 aprile 1818 nr. 1176, emanò alcune direttive che uniformarono il sistema monetario nei territori continentale ed insulare dello Stato, con la quale veniva abolito il rapporto legale fra le monete nei tre metalli, e che stabiliva come unità di base del sistema monetario il ducato d’argento, corrispondente a gr. 22,94 al titolo di 833/1000, ossia con 5/6 di fino e 1/6 di lega. Le future monete d’oro avrebbero avuto solo corso fiduciario e dovevano essere coniate con oro quasi puro, e precisamente al titolo di 996/1000. Si riconosceva inoltre valore nominale alle monete introdotte dalla Repubblica Partenopea e dal Murat.

La nuova monetazione venne, quindi, così articolata:

1 ducato = 10 carlini = 100 grani (a Napoli) o baiocchi (in Sicilia).

1 grano = 2 tornesi = 10 cavalli (a Napoli) o piccioli (in Sicilia).

Le monete napoletane si dividevano, com'era in uso all'epoca, in tre grandi categorie: d'oro, d'argento e di rame.

Erano d'oro: lo Zecchino da due Ducati, la doppia da quattro Ducati e l'oncia da sei Ducati. Ferdinando II coniò un pezzo d'oro da tre Ducati, una quintupla da quindici Ducati ed una decupla del valore di trenta Ducati.

Tra le monete d'argento aveva limitata circolazione il Ducato da cento Grana; la piastra da 120 Grana era la più diffusa. Ferdinando IV, tra il 1784 e 1785 aveva fatto coniare anche il mezzo Ducato d'argento da 50 Grana, ma era più diffusa la mezza piastra d'argento da 60 Grana. Vi erano poi il Tarì da venti Grana, il Carlino da dieci Grana ed il mezzo Carlino da cinque Grana.

Tra le monete di rame, invece, la Pubblica da tre Tornesi, il Grano da due Tornesi, il Tornese ed il Tornese e mezzo o nove Cavalli, il tre Cavalli o mezzo Tornese. Vi erano anche pezzi da 8, 10, 6, 5 e 4 Tornesi, sempre in rame e sempre del periodo di Ferdinando IV.

6 ducati oro1.jpg

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